Il culto della madre

La Grande Madre sarebbe una divinità femminile primordiale, presente in quasi tutte le mitologie note, in cui si manifesterebbe la terra, la generatività, il femminile come mediatore tra l’umano e il divino. Essa attesterebbe l’esistenza di una originaria struttura matriarcale delle civiltà preistoriche, composte da gruppi di cacciatori-raccoglitori.
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Il culto monoteista più antico del mondo ha lasciato tracce profonde sia sul territorio che nell’animo dei Sardi. Analisi di un 1-venus-willendorfrapporto uomo – divinità per molti versi differente da quello moderno. Dea madre di MacomerIl culto della Dea Madre è testimoniato in Sardegna sin da epoca paleolitica. Il rinvenimento di diverse statuine, in varie località isolane, ci attesta che il culto della divinità femminile è stato tra le prime manifestazioni di monoteismo al mondo. I rinvenimenti di Macomer, Carbonia, Villamassargia e Cabras, statuette riproducenti la Dea che accompagnavano il sonno dei defunti nelle Domus, ci mostrano come durante il paleolitico superiore la Sardegna fosse culturalmente in  linea con l’Europa continentale. I siti di Dolni Vestonice, nella Repubblica Ceca, e di Willendorf, in Austria, originavano, quasi contemporaneamente a Macomer (attorno al 24.000 B.P.), una statuetta di circa 11 cm riproducente una figura femminile dalle forme abbondanti. Una constatazione straordinaria se si riflette sull’insularità della Sardegna Paleolitica, descritta come isolata in mezzo al Mare Mediterraneo, eppure così attiva dal punto di vista culturale e commerciale, come testimoniano le esportazioni di ossidiana.  L’uomo preistorico aveva intuito l’importanza del ruolo femminile e lo aveva collocato al vertice della scala cultuale idealizzandolo nella
Divinità. Le prime figure venivano riprodotte con grossi seni e grosse cosce che incorniciavano un ventre gravido e perciò fertile e venivano deposte nelle sepolture monocellulari. Quasi a rappresentare una “Madonnina” o un crocefisso come quelli che Dea+madre+rinvenuta+a+Macomer+copiariceviamo al momento del battesimo, le statuette della Dea dovevano accompagnare i defunti durante il sonno funerario. La deposizione, nel Neolitico Medio, degli individui sistemati in posizione fetale all’interno di grotticelle naturali o scavate, di forma semicircolare, fa supporre la ricerca nella Natura del grembo divino. Che la ricerca fosse mirata al grembo divino, lo si indovina tuttora, analizzando il fatto che numerose Domus vennero ricavate in prossimità – spesso includendole al loro interno – di sorgenti a cui l’onomastica sarda ha assegnato il nome di orgìa oppure stìdiu. Quest’ultima mossa pare mirata ad allagare la sepoltura, incrementando l’afflusso dell’acqua tramite canale collegate con l’esterno. Ingenuamente considerate come vie di fuga per l’acqua, le canale venivano invece usate per concentrare l’apporto idrico all’interno della Domus. A questa conclusione sono giunto dopo aver visto e valutato i dolmen  di  Giovinazzo in Puglia, sui quali l’archeologo dichiara un uso delle canale simile a quello sopra descritto, che in questo caso addirittura integra la funzione di un foro sulla parte superiore del dolmen per l’apporto idrico. Ulteriore sostegno ho trovato nell’opera di E. Atzeni, La preistoria nel Golfo di Cagliari, che sottolinea la costante presenza di sorgenti d’acqua all’interno delle Domus de Janas. Il defunto in posizione fetale, l’acqua a riprodurre il liquido amniotico, la tomba di forma uterina e un piccolo portello quasi a riprodurre un orifizio vaginale: non si può certo dire che le popolazioni preistoriche non avessero le idee chiare sull’apparato riproduttivo femminile.

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